Il 14 luglio 2019, a Londra, dentro uno stadio traboccante di spettatori ormai fuori controllo, Roger Federer è a un solo punto dalla conquista del nono titolo di Wimbledon, il ventunesimo successo in un torneo dello Slam. Dall’altra parte della rete, però, c’è un giocatore che si chiama Novak Djokovic: uno che, lottando da solo contro quindicimila persone, riuscirà a ribaltare un finale che pareva già scritto; uno che in conferenza stampa dirà: «Quando il pubblico grida: ‘Roger! Roger!’ quello che sento nella mia testa è: ‘Novak! Novak’». Due anni dopo, a New York, è Djokovic a disputare la finale degli US Open per diventare il primo giocatore della storia a vincere gli ormai famigerati 21 titoli dello Slam; ma è sotto di due set e, al cambio campo, il russo Daniil Medvedev servirà per chiudere il match. A New York, più che altrove, Djokovic non è mai stato particolarmente amato, ma ecco l’imponderabile: l’intero stadio si alza per applaudirlo e per scandire il suo nome. Djokovic si batte la mano sul cuore, poi però non trattiene le lacrime: sta ancora piangendo quando si posiziona a fondo campo per arrivare alla fine della partita da cui uscirà sconfitto. Si sarebbe tentati di dire che la parabola di Novak Djokovic, uno dei più straordinari atleti che il mondo dello sport abbia mai conosciuto, stia tutta qui, in questi due estremi della carriera. Eppure non è così. Ce lo dimostra Simone Eterno – giornalista e testimone oculare degli eventi che hanno segnato la recente storia del tennis – in questa avvincente biografia: un incredibile racconto sportivo, fatto di dolorose cadute (e scivoloni) e improvvise accelerazioni, dietro cui si dipana una straordinaria e controversa vicenda umana.
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