A Stoccolma Malaparte incontra il principe Eugenio, fratello del re di Svezia. E nella villa di Waldemarsudden non puň trattenersi dal raccontare ciň che ha visto nella foresta di Oranienbaum: prigionieri russi conficcati nella neve fino al ventre, uccisi con un colpo alla tempia e lasciati congelare. Č solo la prima di una fosca suite di storie che, come un novellatore itinerante, Malaparte racconterŕ ad altri spettri di un'Europa morente: ad Hans Frank, Generalgouverneur di Polonia, a diplomatici come Westmann e de Foxŕ, a Louise, nipote del kaiser Guglielmo II. Storie che si annidano nella memoria per non lasciarla mai piů: il Ladoga, simile a "un'immensa lastra di marmo bianco", dove sono posate centinaia e centinaia di teste di cavallo, recise da una mannaia; il console d'Italia a Jassy, sepolto dal freddo peso dei centosettantanove cadaveri di ebrei che sembrano precipitarsi fuori dal treno che li deportava a Podul Iloaiei, in Romania; le mute di cani muniti di cariche esplosive che, in Ucraina, i russi addestrano ad andare a cercare il cibo sotto il ventre dei panzer tedeschi. Storie, anche, malinconiche e gentili: quella dei bambini napoletani convinti dai genitori che gli aviatori inglesi sorvolano la cittŕ per gettar loro bambole, cavallucci di legno e dolci; o, ancora, quella delle ragazze ebree destinate al bordello militare di Soroca. Storie che trascinano in un viaggio lungo e crudele, al termine del quale si vedrŕ l'Europa ridotta a un mucchio di rottami.
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